Ciao è da tantissimo tempo che non scrivo una ff, ma da un pò mi è tornata voglia di scrivere, e lavoro da qualche giorno a questa. Spero vi piaccia
<< Scusami, Elena, potresti cambiare tu il pannolino a Giuseppe? Io sono impegnata con
Eleonora >>
<< Certo! >>
Elena prese in braccio il piccolo Giuseppe e lo portò vicino al fasciatoio per cambiarlo.
Si era trasferita da un paio d’anni, ormai, a Bologna, dove lavorava in un asilo nido e dove viveva con Andrea, il suo ragazzo, il quale le aveva chiesto di sposarlo appena 2 settimane prima.
Ricordava perfettamente le urla felici di sua madre e la sua frenesia nel voler organizzare tutto in quel momento, come se il matrimonio fosse stato dopo qualche giorno e non ci fosse molto tempo a disposizione per organizzare tutto; e invece mancava ancora un anno.
Quando, invece, l’aveva detto a Marco, suo cugino, lui le aveva chiesto se era davvero quello che voleva, se era davvero lui l’uomo con cui voleva passare il resto della sua vita. Ma che altra alternativa aveva? In fondo Andrea l’amava, glielo dimostrava ogni giorno, e lei amava lui. Anche se non quanto sperava, purtroppo: c’era ancora una persona che occupava la parte più grande del suo cuore, e ormai temeva che non ne sarebbe più uscito.
Riportò il piccolo Giuseppe insieme agli altri bambini e Simona, la sua collega, le sorrise.
<< Grazie. Non so davvero come avrei fatto senza il tuo aiuto >>
<< Ma figurati! >>
Simona era stata la prima amica che aveva avuto appena arrivata a Bologna. L’aveva conosciuta quando aveva iniziato a lavorare all’asilo e subito avevano legato, anche perché erano le uniche ad avere più o meno la stessa età.
<< Elena, il tuo telefono si sta illuminando >>
Per non disturbare i bambini, tutte le educatrici mettevano il silenzioso ai loro cellulari e li poggiavano su un mobiletto. Elena si diresse subito verso il suo telefono, temendo fosse successo qualcosa. In genere non la chiamavano mai a quell’ora, sapendo che era al lavoro.
Quando prese tra le mani il telefono, il suo cuore tremò e iniziò a battere furiosamente nel petto. Cosa voleva da lei, adesso?
Con mano tremante aprì la chiamata e portò il telefono vicino all’orecchio. << Si? >>
<< Ciao. Come stai? >>
Chiuse un attimo gli occhi. Come poteva stare bene se lui continuava ad entrare nella sua vita?
<< Bene. Come mai mi hai chiamata? >>
<< Ho bisogno di parlarti, Ele. Ti va di vederci dopo il lavoro? >>
La sua richiesta la lasciò sorpresa. Lui era a Milano, e sapeva benissimo che lei, invece, era a Bologna. << Cosa...? >>
<< Affacciati alla finestra >> la interruppe lui, prima che potesse terminare la sua domanda.
Subito andò verso la finestra e lo vide dall’altro lato della strada, in mezzo alla neve, con sciarpa e cappello che gli coprivano gran parte del viso, il resto coperto dai grandi occhiali da sole che portava, per non farsi riconoscere dai fan. Fare parte di una band di successo era fantastico, ma c’erano alcuni momenti di privacy, tipo quello, in cui era già difficile agire da solo, figurarsi con fan che scalpitavano per una foto o un autografo. Ecco perché, a volte, era necessario camuffarsi in quel modo. Eppure lei lo avrebbe riconosciuto ad occhi chiusi. Il suo modo di camminare, di gesticolare quando era nervoso. Di stare fermo mentre parlava al telefono con lei, come in quel momento. Dopo tutti quegli anni faceva ancora attenzione a tutti quei minimi particolari.
<< Che ci fai qui? >>
<< Ho bisogno di parlarti, davvero >>
Seguì qualche attimo di silenzio, in cui lei stava valutando se concedergli qualche minuto. Aveva così paura di quello che provava quando c’era lui, che credeva di non farcela.
<< Ti prego >>
Quella piccola richiesta sussurrata le fece tremare ancora una volta il cuore, e la sua voce partì ancora prima che lei potesse rendersene conto << Va bene >>
Lo vide accennare un sorriso dall’altro lato della strada. Non lo vedeva bene a causa della lontananza e del fatto che fosse quasi completamente coperto, ma ricordava benissimo il suo sorriso, capace di scioglierle il cuore da quando il tutto era ancora una semplice cotta di una ragazzina per l’amico del suo cugino da cui passava le vacanze estive.
<< Alle 4.00 finisco di lavorare. Ci vediamo davanti casa mia. È in via... >>
<< Lo so >> la interruppe lui << Me l’ha detto Simona. A dopo, allora >>
<< Si >>
Si girò verso la sua amica e la vide sorridere. << Tu sapevi che sarebbe venuto qui e che mi avrebbe chiamata? E gli hai detto anche dove abito? >>
Il suo sorriso si allargò ancora di più << Certo! E gli ho anche detto di venire in questa settimana, visto che Andrea è fuori città per lavoro >>
<< Perché l’hai fatto? >> davvero, non capiva dove l’amica volesse arrivare.
<< Hai accettato di sposare Andrea, Ele. Hai bisogno di capire se hai superato tutta questa cosa con lui oppure se ne sei ancora innamorata. Qui si tratta di decidere con chi passare il resto della tua vita. Devi essere sicura al 100% di quello che fai! >>
Simona sapeva tutto, e sapeva che aveva ragione, ma pensare che tra poche ore avrebbe dovuto parlare con lui e stargli vicino ancora una volta la metteva in ansia.
<< Ma perché gli hai detto di venire a casa tua? >>
<< E’ famoso, Simo, se andassimo in un posto pubblico non potrebbe neanche togliersi sciarpa e cappello >> Anche se, in fondo, l’avrebbe preferito. Sarebbe stato più facile resistere senza guardarlo realmente in faccia, senza guardarlo negli occhi.
Ciao..ho visto che nessuno ha commentato il primo capitolo di questa storia...provo a postare il secondo sperando che vi piaccia di più
Ci aveva messo più tempo del solito, quel giorno, per tornare a casa. Era uscita per ultima dall’asilo, fingendo di dover sistemare ancora qualcosa, e aveva preso la strada più lunga. E ora era ferma sul marciapiede, in attesa che le tornasse un po’ di coraggio. A meno di 1 metro da dove era lei avrebbe dovuto svoltare l’angolo e si sarebbe trovata di fronte al suo sogno peggiore. O al suo incubo migliore. Non le era ancora del tutto chiaro.
Prese un bel respiro e imboccò la via di casa. Lo vide appoggiato alla sua macchina intento a fumare, assorto nei suoi pensieri. Lentamente si avvicinò a lui.
<< Carmine >> lo chiamò piano.
Lui alzò di scatto la testa, ritrovandosela finalmente davanti, bella come sempre. << Ciao >> Abbozzò un sorriso nel vederla, sorriso che, però, lei non poteva vedere, nascosto dalla pesante sciarpa che portava.
<< Vieni >>
Gli fece cenno di seguirla. Aprì il portone e iniziò a salire le scale. Lui la seguì in silenzio per tutti i 3 piani. Quando, finalmente, Elena aprì la porta di casa si ruppe il silenzio che si era creato tra loro.
<< Ti va un caffè? >>
<< Si, grazie >> rispose distrattamente. Era intento a guardare la casa, così piena di lei. Vedeva la sua presenza in ogni cosa, dai puzzle di opere famose appesi in salotto alla grandissima quantità di libri esposti ordinatamente in una libreria. Respirò a pieni polmoni il profumo di quella che sarebbe stata la sua vita con lei, e non poté non sentirsi assalito da un immenso senso di nostalgia.
Si soffermò su uno scaffale in cui c’erano tutti i loro cd. Prese il primo in assoluto, “Tutto è possibile”, e sorrise nel vedere le dediche che lui e i suoi amici le avevano scritto su.
Quel giorno erano stati chiamati in studio di registrazione. Avevano finito da pochi giorni di lavorare al loro primo cd, e quel giorno avrebbero visto il frutto del loro lavoro in carne ed ossa.
Elena aveva voluto assolutamente accompagnarli, dicendo che li avrebbe aspettati fuori mentre ritiravano il loro primo figlio.
E così era stato: quando erano usciti dallo studio di registrazione, lei era lì, in trepidante attesa di vedere il loro primo vero cd. Pedro subito le era corso incontro e l’aveva abbracciata. Erano davvero legati, quei due. Ed è stato proprio grazie alla loro unione che se l’era trovata sempre tra i piedi in tutti quegli anni.
La prendeva sempre in giro. Diceva che lei era il loro Prezzemolino, che andava dovunque andasse suo cugino e, di conseguenza, era sempre intorno a tutti loro.
La ragazza, poi, aveva abbracciato anche Stefano e Danilo, e infine Carmine. Elena non lo sapeva, ma era grazie a lei che era nata una delle canzoni di quel disco, e lui non sapeva ancora che quella sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di canzoni scritte per lei.
<< Questo è per te >> Marco le porse una delle due copie che avevano dato a ognuno di loro.
Lo sguardo di Elena si illuminò di colpo, e qualche lacrima scese sul suo viso.
All’improvviso iniziò a frugare nella sua borsa alla ricerca di qualcosa che gli altri 4 ancora non riuscivano a capire. Dopo una manciata di secondi ne estrasse una penna nera.
<< Ora, miei cari Finley, mi dovete assolutamente autografare il cd! >>
I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, scrivendo le cose più assurde che gli passassero per la testa.
“Al mio Prezzomolino preferito.
Dal più figo e splendente dei Finley.
Ka”
<< Che razza di scrittura avevo >> commentò subito dopo aver letto la sua dedica.
Dalla cucina poté sentire la risata cristallina di Elena. << Cioè, fammi capire. Tu mi hai scritto quella dedica megalomane e ti preoccupi per la scrittura che avevi? >>
Carmine la raggiunse in cucina, fingendosi offeso << Non era megalomane >>
<< “Dal più figo e splendente dei Finley”. Se non è megalomania questa >> continuò ridendo.
Si appoggiò al piano dove lei stava versando il caffè nelle tazzine, intenerito dal fatto che si ricordasse ancora perfettamente quello che le aveva scritto.
<< Sai, l’altro giorno su Mtv hanno passato Sole di Settembre. Che teneri eravate! >>
<< Non mi far pensare. Eravamo orribili >> fu lui a ridere questa volta. Certe volte gli capitava di rivedere qualche vecchia foto, e la cosa che più saltava agli occhi era la loro ingenuità. Ancora non sapevano che razza di mondo pieno di squali era quello. All’epoca, invece, gasati dal successo che stavano avendo, non capivano ancora quali erano le persone su cui potevano fare davvero affidamento.
<< Ma non è vero! Eravate solo diversi. Guardandovi in faccia si poteva capire subito quello che vi passava per la testa. Ora, invece, vi siete creati questa maschera che mostrate a tutti. Non una maschera che vi rende falsi, questo no. Ma è una maschera che vi permette di nascondere alcuni vostri pensieri >>
Dicendo questo, aveva portato le tazze sul tavolo insieme allo zucchero, facendo segno al ragazzo di sedersi.
<< Hai ragione, siamo cambiati in questo senso. Ma certe cose temo non cambieranno mai >>
Elena gli lanciò uno sguardo di sfuggita, notando che sorrideva, ma con un sorriso quasi malinconico << Cosa non cambierà mai? >>
Carmine puntò il suo sguardo su Elena, pronto a studiare ogni minima reazione a quello che stava per dirle << Quello che provo per te >>
Lo zucchero, nel sentire quelle parole, le cadde dalle mani. Per fortuna non si rovesciò nulla. Con un respiro profondo si sedette di fronte al ragazzo e lo guardò negli occhi << Cosa ci fai qui, Carmine? >>
<< Ricordi quando dicevi sempre che ti sarebbe piaciuto che qualcuno scrivesse una canzone pensando a te? >>
Certo che lo ricordava. Lo ripeteva in continuazione a tutti quanti. Quando aveva visto Marco, che era una frana con le parole, scrivere Sole di Settembre e Mai più per la sua ragazza, aveva capito che lui doveva amarla tantissimo, perché tante erano le cose che voleva dirle, ma era talmente imbranato quando si trattava di lei, che l’unico modo che aveva per esprimere al meglio quello che sentiva era farlo con l’unica cosa di cui si sentiva veramente padrone: la musica. E allora, lei, aveva sognato così tanto qualcuno che la amasse a tal punto da scrivere una canzone per lei, che, infatuata dalla cotta che aveva per Carmine e affascinata dal suo modo di esprimersi attraverso le canzoni, era arrivata, stupidamente, a desiderare che lui scrivesse canzoni per lei.
Imbarazzata dalla sua ingenuità, si trovò ad annuire quasi impercettibilmente.
Carmine, allora, le passò un foglio piegato in quattro << Ecco qui >>
Elena si trovò a fissare confusa quel foglio, senza ancora toccarlo << Hai scritto una canzone per me? >>
Subito si maledì per quello che aveva appena detto. Che ne sapeva, lei, se quella era una canzone oppure qualcos’altro?
Carmine sorrise ironico << E’ una vita che scrivo canzoni per te >>
Elena lo fissò a bocca aperta, e lui le fece cenno di aprire il foglio. Ubbidì, con mano tremante, e aprì il foglio, per leggere quei 10 anni di canzoni scritte solo per lei. In My Arms Again
Ad Occhi Chiusi
Il Mondo Che Non C’è
Tra Gli Angeli
Il Tempo Di Un Minuto
In Questo Istante
Eva
Neve
Un giorno qualunque
Elena rilesse la lista più e più volte. Possibile che Carmine avesse scritto tutte quelle canzoni per lei e che lei non se ne fosse minimamente accorta?
<< In my arms again? Ma avevi solo 17 anni quando hai scritto quella canzone. E... oddio, Ka, Ad occhi chiusi. Questa è... >>
<< La tua canzone preferita in assoluto, lo so >>
Elena continuava a scorrere quella lista, incredula della quantità di canzoni che aveva scritto per lei. Una di quelle, però, la confuse. << In questo istante? Non è possibile! Marco mi ha detto che l’ha scritta Ivan >>
Se lo ricordava bene, quel giorno. Marco le aveva fatto ascoltare tutte le canzoni del nuovo cd, tra cui proprio In questo istante. Quando l’aveva sentita, il cuore aveva iniziato a batterle all’impazzata. “E fermiamo il tempo in questo istante. Se adesso chiudi gli occhi il resto non conta più niente”. Erano le parole che le aveva detto lui quella volta. Per questo aveva subito chiesto chi avesse scritto quella canzone. Poteva ancora ricordare la delusione che aveva provato quando suo cugino le aveva detto che l’aveva scritta Ivan.
<< L’ho scritta subito dopo la tua partenza, ma non volevo farla vedere a nessuno perché temevo che mi dicessero di pubblicarla nel nuovo album, e non volevo che tu ascoltandola capissi che l’avevo scritta per te. Poi, un giorno, Ivan l’ha trovata e mi ha convinto a farla vedere anche agli altri, e io ho accettato solo alla condizione che dicessimo che era stata scritta da lui >>
<< Ma se non volevi che lo capissi, perché adesso mi stai facendo vedere questa lista? >>
<< Perché voglio spiegarti il senso di ogni singola canzone. Non voglio rimpianti. Voglio che tu sappia tutto prima di sposarti >>
Estate 2002.
La mamma di Elena e la mamma di Marco erano sorelle: entrambe nate e cresciute in un piccolo paesino in provincia di Bari, la prima aveva sposato un suo vecchio compagno di scuola ed era rimasta in quel piccolo paesino, mentre la seconda era andata a studiare a Milano dove aveva sposato un ragazzo conosciuto li. Sin da subito ogni famiglia in estate andavano a trovare l’altra, poi, una volta nati tutti e tre i bambini delle due coppie, per non far crescere i bambini come degli estranei tra loro, decisero di passare 1 mese di vacanze a Milano, e scendere tutti insieme per passare un altro mese a Bari.
Elena e Marco avevano sempre avuto un legame particolare, un’intesa speciale, dovuta probabilmente al fatto di avere solamente 1 anno di differenza. Per questo, nell’estate dei 17 anni di Marco e dei 16 di Elena, i genitori della ragazza avevano deciso di permetterle di rimanere a Milano tutta l’estate, insieme al suo cugino preferito.
Marco era elettrizzato all’idea che Elena passasse tutta l’estate lì, e i suoi amici erano le povere vittime di quella sua eccessiva vivacità.
Quando aveva detto a Carmine che Elena aveva avrebbe passato lì tutta l’estate, anziché solo 1 mese, Carmine aveva alzato gli occhi al cielo mormorando qualcosa simile a “Fantastico! 3 mesi con la nanerottola tra i piedi”. In realtà, però, aveva sentito qualcosa alla bocca dello stomaco quando aveva sputo della notizia. Non sapeva spiegarsi cosa fosse, ma quello che voleva cercare di fare era evitare il più possibile la ragazza. Stava diventando un’ossessione. L’ultima volta che era stata lì, lui aveva continuato a guardare le foto delle gite organizzate tra loro per i 3 mesi successivi alla sua partenza. L’aveva confidato una sera che aveva bevuto troppo a Danilo e lui gli aveva detto che si era preso una bella cotta per la cuginetta del loro amico. Ma no, non poteva essere. Si era ripromesso di farsela passare al più presto, perché proprio l’anno prima avevano messo su un gruppo, lui, Danilo, Marco e Stefano, e andavano davvero forti insieme. Non poteva mandare tutto all’aria per una stupida cotta (se mai fosse stata veramente una cotta!). L’anno prima Stefano aveva avuto una mezza storia con la cugina di Danilo, cosa che aveva fatto litigare per giorni i due ragazzi. Per quello avevano deciso che per la pacifica convivenza e per il gruppo che avevano creato, nessuno di loro avrebbe dovuto avere una storia con sorelle, cugine o altri parenti degli altri 3.
E credeva davvero che gli fosse passata. Questo ovviamente prima di vederla arrivare a casa sua insieme a Pedro per assistere ufficialmente alle prove del gruppo. Il cugino le stava raccontando qualcosa di divertente e lei rideva di gusto e, dannazione, era bellissima! Aveva tagliato i capelli, e il suo corpo si era modellato di più rispetto all’anno precedente. Ad un tratto non gli sembrava più di aver dimenticato la cotta.
Quell’estate erano stati molto di più insieme e avevano avuto modo di parlare tantissimo. E no, Carmine aveva avuto modo di capire che la cotta non gli era ancora passata. Al momento della partenza per tornare a casa, lei l’aveva abbracciato e gli aveva detto che era stata veramente bene con lui quell’estate. Quando la vide salire sul treno, il suo cuore mancò di un battito, e in quel momento realizzò che la nanerottola(che, in realtà, non era più tanto nanerottola, visto che era cresciuta tantissimo in quell’anno) gli sarebbe mancata più di quanto aveva mai pensato potesse accadere.
Tornato a casa, si stese sul letto, una miriade di pensieri che gli affollavano la testa. D’istinto prese carta e penna, con l’idea di disegnare qualche immagine senza senso, cosa che di solito lo rilassava. Invece dei soliti disegni, però, iniziò a scrivere parole, frasi, senza ordine. Seguivano solo la scia dei suoi pensieri.
This could be wrong.
I want to touch your hands.
Please remain here.
I want to touch your red lips.
Don’t leave me all alone.
Before you go I want to hold you in my arms again.
Why don’t you belong to me?
I’m disposed to pay to make you mine.
I’m sure that it will be so beautiful.
Frasi che poi, qualche mese dopo, avevano trovato il loro senso e l’approvazione dei suoi amici. Ovviamente a nessuno aveva detto chi aveva ispirato quelle parole.
Settembre 2005
Quella sera si sarebbero riuniti tutti quanti a casa di Pedro, che da quell’anno avrebbe condiviso con Elena, la quale, avendo terminato le superiori quell’estate, si era iscritta all’Università di Milano.
Proprio quel giorno la ragazza era arrivata in città, e Marco aveva invitato i ragazzi a casa per mangiare una pizza e bere una birra.
Carmine, dopo aver avuto la batosta di essere arrivato in ritardo all’esame di ammissione dell’università l’anno prima, aveva preso l’abitudine di arrivare sempre in anticipo. E, anche quella volta, era arrivato mezzora prima dell’orario stabilito.
<< E’ davvero irritante, a volte, questo tuo arrivare in anticipo, sai? Devo ancora finire di vestirmi >> gli disse Marco, fingendosi scocciato.
<< Vai! Io ti aspetto qui >>
Mentre aspettava che il suo amico fosse pronto e di rivedere finalmente Elena, Carmine, affamato, aprì il frigorifero in cerca di qualcosa da stuzzicare prima che arrivassero gli altri.
<< Marco dov’è il phon? >>
Il ragazzo si ritrovò a sorridere dall’interno del frigorifero. Finalmente era lì e poteva salutarla. Sorridendo si girò verso di lei, ma la bocca gli si asciugò di colpo, le parole perse chissà dove.
Era lì davanti a lui, si, ma scalza, con i capelli bagnati appiccicati al viso e con indosso solo un asciugamano che la copriva dal seno a metà della coscia. Si fermò un attimo di troppo a guardare le gambe, lunghe e non eccessivamente magre. La sua immaginazione iniziò a correre ancora prima che potesse rendersene conto. Immaginò il corpo di lei sotto il suo, e immaginò di mordere quelle cosce così carnose.
<< S-sai dov’è Marco? >> riuscì a balbettare lei dopo qualche secondo di imbarazzo.
Carmine deglutì a vuoto un paio di volte, prima di essere sicuro di non tradirsi con la voce << Si sta vestendo >> riuscì solamente a mormorare.
In meno di un secondo la ragazza scomparve dalla sua vista, e lui finalmente riprese a respirare (ma quando aveva smesso?).
<< Ehy, Ka, tutto a posto? Sembra che hai visto un fantasma >>
La voce del suo amico lo riportò alla realtà. Andava tutto alla grande. Come no.
La serata procedeva alla grande. Ridevano tutti come pazzi e, per fortuna, sembrava che Elena avesse dimenticato lo spiacevole incidente del pre-serata. O almeno così sperava.
Ma poi a Stefano venne in mente una delle sue strampalate idee: giocare al gioco della bottiglia. Erano tutti piuttosto alticci (Elena più di tutti. Era incredibile quanto poco reggesse l’alcol), per cui nessuno trovò un motivo valido per non giocare.
Ad un certo punto, si trovò proprio Ste a far girare la bottiglia, che, alla fine del suo giro, indicò Carmine.
<< Allora... fammi pensare... Cosa posso farti fare? >>
Sembrò pensarci qualche secondo, ma dallo sguardo che aveva sembrava avesse già deciso quale pegno richiedere. << Ci sono! Devi baciare Elena! >>
<< Cosa? >>
Le voci dei due interpellati si sollevarono contemporaneamente.
<< Dai, è un bacio innocente! Non dovete avere paura >>
<< Ti ricordo che io ho una ragazza >>
Era vero. In quel periodo Carmine aveva deciso che l’unico modo per non pensare alla cugina del suo amico era quello di stare con una ragazza, sperando di riuscire a togliersela definitivamente dalla testa. Quella sera, però, non era potuta andare con loro perché aveva da fare con i suoi genitori.
<< Oh, ma di questo non devi preoccuparti. Quello che succede qui stasera resterà tra di noi. Giulia non verrà mai a saperlo, tranquillo! >>
<< Ste... >> tentò ancora Elena, ma fu interrotta proprio dall’interpellato.
<< Niente obiezioni! Ognuno di noi ha fatto quello che gli è stato chiesto. Ora tocca a voi >>
I due ragazzi, rassegnati all’idea di non poter fare niente per far cambiare idea all’amico, si alzarono dal loro posto e si misero l’uno di fronte all’altra.
<< Vi avviso: deve essere un bacio vero. Non quella robetta di tenere le labbra incollate e basta. Non dico nemmeno che dobbiate usare la lingua. Cioè, se volete... >>
<< Ste! >> lo ripresero in coro i due.
<< Ok, come non detto. Però dev’essere un bacio come si deve. E deve durare almeno 15 secondi >>
Elena lo fulminò con lo sguardo, mentre Carmine sospirò. Ma perchè aveva accettato di fare quello stupido gioco?
<< Pronta? >> si trovò a chiederle. Era elettrizzato e terrorizzato allo stesso tempo. E se gli fosse piaciuto, con che coraggio l’avrebbe lasciata andare?
Elena annuì leggermente.
<< Via col cronometro, allora >>
La voce di Stefano gli diede il via, per cui Carmine si avvicinò leggermente timoroso alla ragazza fino a sfiorarle le labbra, per poi diventare più audace e baciarla con più convinzione. Il cuore gli martellava nel petto e nel momento in cui aveva poggiato le sue labbra su quelle rosse della ragazza, aveva sperato ardentemente che quei 15 secondi non finissero mai. Era così morbida, e fresca, e...
<< Stop! >> Aveva gridato Stefano.
A malincuore si staccò dalle sue labbra, ritirando la mano che aveva tra i capelli di lei. Non ricordava nemmeno in che momento fosse salito a sfiorarle i capelli.
In quel momento ebbe la convinzione che avrebbe potuto stare con qualsiasi ragazza, ma non sarebbe mai riuscito a smettere di pensare a lei.
Qualche ora dopo, Carmine si svegliò con la bocca asciutta. Si alzò dal pavimento su cui erano crollati tutti quanti a dormire e si diresse in cucina a prendere un bicchiere d’acqua, per poi tornare in salotto e sedersi sul divano, poggiando la testa allo schienale. Sulle labbra sentiva ancora il sapore di quel bacio. Sentiva ancora lei rispondere al bacio, e, dannazione!, ci sarebbe morto su quelle labbra, lui. Istintivamente cercò la figura di Elena tra l’ammasso di corpi che giaceva a terra. Un sorriso gli nacque spontaneo quando la vide rannicchiata su sé stessa. Era davvero bellissima, e lui non avrebbe potuto averla mai. Dannata quella promessa che aveva fatto quel giorno con i suoi amici.
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Qualche giorno dopo, Carmine si trovava nella sua stanza davanti a un foglio pieno di scritte. Preso dalla stessa frenesia che lo aveva colto quando aveva scritto In my arms again e con ancora il ricordo vivissimo del bacio che si erano scambiati lui ed Elena, aveva appuntato alcune frasi sconnesse sparse sul foglio. Frasi che poi avrebbero composto quella canzone che lei amava tanto.
Resterò in silenzio a fissarti immobile.
Osserverò ogni piccolo gesto che inconsapevolmente fai.
Sarò invisibile.
Non ti accorgerai di me.
Disegnerò ad occhi chiusi quei momenti che ricorderò come se fosse
solo un’ora fa.
Giugno 2008
Carmine era in cucina. Da un po’ di giorni aveva scritto delle frasi sparse, e quel pomeriggio aveva deciso di mettere ordine tra tutte quelle parole. Speranze di una vita intera.
Sogni da inseguire. Ho promesso di non lasciare niente di intentato provarci sempre nella in questa vita.
No, quest’ultima frase proprio non gli piaceva. Ma dov’era finita tutta l’ispirazione?
Stava per mandare tutto al diavolo, quando suonò il campanello di casa.
Si alzò dalla sedia e andò ad aprire la porta, trovandosi di fronte Elena, con l’aria di una che aveva appena smesso di piangere.
<< Ciao >> si sforzò di fare un sorriso << Disturbo? >> Tu non disturbi mai. << Certo che no. Entra >>
Prima di entrare, però, abbassò lo sguardo e chiese, con un filo di voce << Sei solo in casa? >>
<< Si >>
Angela, la sua ragazza, che da un paio di mesi sembrava si fosse stabilita da lui, visto che aveva portato lì la maggior parte della sua roba, era fuori città per qualche giorno.
<< C’è qualcosa che non va? >> provò a chiederle. Senza troppe pretese, però. Sapeva che se voleva confidarsi lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà, non solo perché lui glielo aveva chiesto.
E infatti la ragazza sollevò le spalle con noncuranza << Niente di che. Solo mi sentivo sola senza Marco in giro per casa. E lui ed Elisa sono partiti solo da 2 giorni. Non oso immaginare come mi sentirò per tutta la settimana >>
Provò anche ad abbozzare un sorriso, ma non le riuscì tanto bene. Doveva essere successo qualcosa di grosso.
<< Posso stare un po’ con te? >>
<< Certo. Mi stavo annoiando anche io qui da solo >>
Lei gli rivolse un piccolo sorriso di ringraziamento e lo seguì verso la cucina, dove notò un foglio scarabocchiato e una penna sul tavolo.
<< Cosa stavi facendo? >>
<< Niente di che. Da qualche giorno ho in mente qualche frase e stavo cercando di metterle insieme per una canzone >>
La ragazza si girò di scatto verso di lui << Stai scrivendo una canzone? Che bello! Non ho mai visto il grande poeta Carmine Ruggiero all’opera! >>
Carmine rise << Poeta, addirittura? >>
<< Assolutamente si! Hai scritto quella fantastica poesia che è Ad occhi chiusi, quindi sei per forza un poeta >>
Il cuore gli si riempiva di orgoglio ogni volta che lei diceva di amare quella canzone. Lo faceva sentire veramente fiero di quello che aveva fatto.
<< Posso guardare? >> chiese timorosa, indicando il foglio.
Carmine annuì, e lei si sedette accanto al posto che aveva occupato lui fino a pochi minuti prima.
<< Che emozione >> disse prima di leggere il foglio << Ho sempre visto Marco scrivere canzoni, ma lui è un disastro! Ogni volta gli ci vuole un sacco di tempo per capire come organizzare la frase e per trovare le parole per esprimere un concetto. Lo vedo che è faticoso per lui. I risultati sono ottimi comunque, eh, però si vede che fa più fatica. Al contrario di te >>
<< Io? Come sai che anche io non ho le stesse difficoltà? >> le chiese sedendosi accanto a lei.
<< Per te è diverso, si vede. Si percepisce che le tue parole sono scritte di getto, che il grosso del lavoro lo fai solo quando devi legare le frasi tra i loro >>
Era sconvolgente quanto era riuscita a capire di lui solo guardando i testi delle sue canzoni. Ricordava che una volta l’aveva sentita parlare con Elisa, la ragazza di Marco, a proposito di Ad occhi chiusi. Le stava dicendo che dalle parole scritte si sentiva che era veramente innamorato di Giulia, la sua ragazza di allora. Peccato che quella canzone non l’avesse scritta pensando a lei.
<< Beh, allora mi sa che questa volta Pedro mi ha contagiato >>
<< Perché? >> chiese la ragazza, incuriosita.
<< Non riesco a trovare il modo giusto per comporre questa parte. Ho promesso di provarci sempre in questa vita. Non mi piace per niente >>
<< Cosa vorresti dire? >>
<< Che mi sono ripromesso di non avere rimpianti nella vita. Che, anche se ci fosse un’altra vita, vorrei fare tutto adesso. E che sono disposto a tutto per mantenere questa promessa >>
Elena ci pensò su. Effettivamente era un bel concetto, ma non era espresso al meglio. << Magari potresti iniziare dicendo: “Ho una promessa che sono disposto a mantenere”. O, meglio: “Ho una promessa, e sono pronto a mantenerla”. Che ne dici? >>
Carmine annuì, e trascrisse quelle nuove parole sul foglio << Si, mi piace! Ma come continuo poi? Magari potrei dire “Fare tutto adesso” >>
<< Oppure: “Fare tutto nella vita” >>
<< “Fare tutto nella vita, poi in un’altra si vedrà” >>
<< “Fare tutto in questa vita, poi nell’altra si vedrà”! >>
Carmine scrisse ancora sul foglio << “Ho una promessa, e sono pronto a mantenerla: fare tutto in questa vita, poi nell’altra si vedrà”. Va bene, ma non mi convince del tutto. Tu che dici? >>
<< Si, hai ragione. Magari potresti specificare meglio. Ho una promessa valida... no! Ho una promessa ancora valida...mmm no, non mi piace nemmeno così >>
Carmine le bloccò il braccio << Ci sono! “Ho una promessa ancora buona, e sono pronto a mantenerla: fare tutto in questa vita, poi nell’altra si vedrà” >>
Elena gli rivolse un sorriso enorme << Perfetta! Mi piace! >>
Il ragazzo la prese dalle spalle e la avvicinò a sé per darle un bacio sulla guancia << Grazie, grazie, grazie! >> mormorò, prima di trascrivere le parole sul foglio, temendo di dimenticarle.
Elena si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra. Una strana aria malinconica l’aveva investita.
Carmine, ancora sorridente, si girò verso di lei e la vide assorta nei suoi pensieri. Si alzò e le si avvicinò piano << Ehy >> le disse, accarezzandole il braccio.
<< Antonio mi ha tradita >> disse piano, girandosi verso di lui con gli occhi lucidi, pronta a piangere. Le mise una mano sulla nuca e la strinse forte al suo petto. Dannato ragazzo! Non l’aveva sopportato già dal primo momento in cui lei glielo aveva presentato. Troppo tronfio e pomposo per i suoi gusti. Dani, l’unico a sapere di quello che provava per Elena, diceva che non gli stava simpatico solo perché stava con la ragazza di cui lui era innamorato, solo perché voleva essere al suo posto. E nessuno, nemmeno Dani, aveva idea di quanto fosse vero. Avrebbe dato di tutto per stare con lei, ma c’era di mezzo quella promessa. Quella dannata promessa, fatta a 16 anni, di non toccare le ragazze delle famiglie degli altri 3 Finley. Ogni volta Dani gli diceva di fregarsene di quella promessa, che erano passati troppi anni e che non erano più degli adolescenti in preda agli ormoni. Quello che provava per la ragazza era amore e Marco lo avrebbe accettato, non lo avrebbe considerato un traditore per aver ignorato il patto. Ma non poteva rischiare. Marco era il suo migliore amico. Non poteva permettere che andasse tutto a ******e. Fin quando sapeva che lei non ricambiava i suoi sentimenti, pensava che sarebbe stato da stupidi rischiare tutto e non avere né lei né il suo amico. Fin quando fosse stato solo lui a soffrire, avrebbe stretto i denti e sarebbe andato avanti. Tutto, pur di non perdere nessuno.
Elena si staccò piano da lui, asciugandosi le ultime lacrime rimaste << Mi aveva detto che era all’Università, e invece l’ho beccato a baciarsi con un’altra ragazza >>
Che bastardo! Giurò a sé stesso, in quel momento, che se se lo fosse trovato davanti lo avrebbe riempito di pugni. Come diavolo si faceva a preferire un’altra ragazza ad Elena? Lei era bella, simpatica, e dannatamente intelligente. Era la perfezione fatta persona, e lui era irrimediabilmente innamorato di quella ragazzina che a 13 anni seguiva suo cugino come se fosse il suo prolungamento.
<< Che ho che non va, Ka? >>
Gli si strinse il cuore nel vedere quanto ci era rimasta male per quel figlio di ******a << Non hai niente che non vada, Ele. Tu sei perfetta >> le disse, accarezzandole i capelli.
Lei sorrise amaramente << Devo avere per forza qualcosa di sbagliato, visto che ha preferito quella lì a me. Evidentemente non ero abbastanza per lui >>
<< Ehy >> le prese il viso tra le mani << Tu non hai niente in meno rispetto a nessuno! >>
<< Ma non sono comunque abbastanza. Forse non sono abbastanza carina, o intelligente >> Oh, se solo sapessi.
Poggiò la fronte a quella della ragazza << Ele >> la chiamò, e lei alzò lo sguardo verso di lui << Tu sei bellissima, e fin troppo intelligente per uno come lui. Ora ci stai male, ma, credimi, uno così è meglio perderlo. Tu meriti di meglio. Meriti il meglio >>
Pose particolare enfasi su quell’“il”. Doveva farle capire che lei meritava tutto quello che c’era di bello nel mondo. Che quegli occhi non meritavano di piangere ancora, perché erano gli occhi più belli che avesse mai visto. E quelle labbra non dovevano più tremare per cercare di trattenere le lacrime. Dio, quelle labbra.
Chiuse per un momento gli occhi. Fu un solo attimo, giusto il tempo di realizzare che era talmente vicino a lei, di nuovo, da poter sentire il suo respiro caldo. Così vicino da desiderare intensamente di baciarla. Fare tutto in questa vita, poi nell’altra si vedrà.
Spinto dalle stesse parole sui cui avevano lavorato insieme poco prima, avvicinò le labbra alle sue e la baciò. E fu diverso da tutti gli altri baci che aveva mai dato nella sua vita. Fu diverso anche dal bacio che si erano scambiati qualche anno prima. Lei c’era. A differenza dell’altra volta, quando avevano una penitenza da rispettare e lei era abbastanza brilla da avere i riflessi rallentati, stava rispondendo al bacio, voleva sentirsi amata in quel bacio. E lui, accidenti!, ne aveva da vendere di amore da dimostrarle! Allimprovviso aveva dimenticato tutto: Angela, la promessa... Aveva dimenticato di essere sulla Terra, gli sembrava di essere in un altro mondo, dove tutto ciò che contava era che loro due rimanessero così per sempre. Perché lei era tutto ciò di cui aveva bisogno, lei era la sua aria, la sua acqua. Con lei non aveva bisogno di nient’altro, solo dei suoi baci.
Lei, però, all’improvviso si staccò dalle sue labbra, portandosi una mano alla bocca e con gli occhi di nuovo lucidi << Oddio! Non... >>
Carmine le prese una mano tra le sue << Ele ascolta... >>
La ragazza si liberò dalla sua presa << No, Carmine, non capisci? Sono venuta qui perchè Antonio mi ha tradita con una ******a, e adesso sono io la ******a con cui tu hai tradito Angela! >>
Velocemente prese la sua borsa, abbandonata malamente sul tavolo, e uscì di corsa da quella casa, lasciando Carmine da solo al centro della stanza.
Si avvicinò al tavolo e si lasciò andare su una sedia, prendendosi la testa tra le mani, sotto i suoi occhi ancora quelle frasi sconnesse.
Prese un respirò profondo e iniziò a scrivere ancora.
Novembre 2010
Carmine chiuse nervosamente la chiamata. Prese il giubbotto e le chiavi della macchina e uscì di casa.
Girò a vuoto per chissà quanto tempo, fin quando si trovò davanti a casa di Pedro, ma in cuor suo sapeva che non era lui la persona che voleva vedere. Poggiò la testa allo schienale del sedile e aspettò di calmarsi ancora un po’ prima di scendere dalla macchina, valutando se era veramente il caso di coinvolgerla in quella situazione.
Qualche minuto dopo, però, era già davanti la sua porta di casa, in attesa che venisse ad aprire. Ancora non era sicuro di dirle tutto, ma era sicuro di volere lei. In quel momento si sentiva come un bambino che, dopo una caduta, cerca la sua mamma non perché si è fatto realmente male, solo per ricevere un suo abbraccio. Ed era solo quello che voleva lui. Un suo abbraccio. Niente di più.
La porta davanti a lui si aprì e rivelò una Elena in pigiama sorpresa di vederlo lì.
<< Ka, che ci fai qui? È quasi mezzanotte. È successo qualcosa? >>
<< Ho bisogno di un’amica >>
Elena gli rivolse un sorriso dolce e lo portò sul divano, sedendosi accanto a lui.
<< Sono qui. Dimmi tutto >>
Carmine prese un lungo respiro e iniziò a raccontare quello che era successo << Sai che i miei sono divorziati, giusto? Mio padre – diede un’inflessione particolarmente astiosa a quella parola – è andato via di casa quando avevo solo 5 anni. Non si è mai fatto sentire in tutti questi anni. Fino ad oggi >>
Elena era stupita. Perché mai si era rifatto vivo proprio quel giorno? Ma non voleva interromperlo, voleva che si sfogasse completamente. Così le raccontò di quanto l’aveva stupito quella chiamata, e ancora di più il fatto che volesse incontrarlo. Le disse che non era sicuro di volerlo vedere, che probabilmente stava macchinando qualcosa, ma che al tempo stesso moriva dalla voglia di chiedergli perché l’avesse abbandonato così.
Elena gli strinse una mano e lui avrebbe tanto voluto piangere. Ma erano ormai troppi anni che non piangeva, l’uomo che si era ripromesso di essere non doveva farlo, e temeva di non ricordare più come si facesse. La guardò negli occhi e, come se gli avesse letto nel pensiero, si sporse verso di lui e lo abbracciò forte.
<< Cosa devo fare? >> le sussurrò poco dopo.
Elena lo guardò negli occhi << E’ una decisione solo tua, Carmine. Pensa, però, che se lo incontri potrai avere un rimorso, ma avrai imparato la lezione. Se, invece, decidi di non vederlo, potrai avere per sempre il rimpianto di non aver mai avuto la possibilità di chiedergli spiegazioni. Ma, qualunque cosa deciderai di fare, io sarò dalla tua parte >>
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La mattina dopo fu svegliato dal rumore di qualcosa che cadeva a terra. Aprì piano gli occhi e vide Elena ancora addormentata sulle sue gambe. Quella notte erano rimasti a parlare a lungo sul divano, fino a quando non si erano addormentati.
La sollevò dolcemente, cercando di non svegliarla, e si alzò in piedi, mettendo un cuscino sotto la sua testa per farla stare comoda, poi si diresse in cucina, dove Pedro stava preparando il caffè.
<< Buongiorno bell’addormentato. Che diavolo ci facevi sul mio divano con mia cugina stamattina? >>
<< Ieri sera mi ha chiamato mio padre >> buttò lì, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
Marco lasciò immediatamente quello che stava facendo e lo guardò negli occhi << Oh. E che ti ha detto? >>
Carmine si sedette su una sedia lì vicino << Vuole incontrarmi >>
<< Adesso si ricorda? Dopo 20 anni? >>
Carmine lo guardò. Aveva ragione, *****. Dopo 20 anni si era ricordato di non aver lasciato solo una moglie, ma anche un figlio?
<< Scusa >> L’aveva notata, Marco, quell’inquietudine che gli aveva attraversato gli occhi << Non volevo essere così crudo. Che vuoi fare? >>
Si passò una mano tra i capelli << Non ne ho idea. Tua cugina ieri mi ha detto che è una decisione che posso prendere solo io, ma credo che in realtà abbia voluto dirmi che sarebbe peggio provare il rimpianto di non averlo incontrato che il rimorso di averlo fatto >>
<< Ha ragione, Ka. Fallo! Incontralo. Se poi ti rendi conto che non ne valeva la pena, puoi sempre dargli un pugno per sentirti meglio >>
Carmine rise. Era fortunato, davvero, ad avere quegli amici.
<< Buongiorno >>
Anche Elena aveva fatto la sua entrata in cucina, sbadigliando.
Mentre Marco era impegnato a preparare il caffè, lamentandosi del fatto di dover prendere una caffettiera più grande, Elena si avvicinò a Carmine.
<< Allora, hai deciso? >>
Il ragazzo annuì << Voglio vederlo >>
Elena sorrise, orgogliosa di lui << Sapevo che avresti fatto la scelta giusta >>
<< Ti va di venire con me? >>
Elena annuì << Certo che si! >> gli disse, prima di lasciargli un bacio sulla guancia e sedersi accanto a lui << Allora, è pronto questo caffè? >> chiese ridendo in direzione del cugino.
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<< Sei pronto? >> chiese Elena prendendogli una mano.
<< No. Ma temo che non sarò mai pronto per questo momento >>
La ragazza gli sorrise incoraggiante e insieme entrarono nel bar in cui avevano appuntamento col padre di Carmine.
In fondo al locale videro un uomo che, appena entrati, si era alzato in piedi.
<< E’ lui? >> gli chiese Elena.
<< Credo di si >> Non ne aveva idea, in realtà. Tutto ciò che lo riguardava risaliva a 20 anni prima, per cui anche nelle foto che aveva visto aveva solo 30 anni, e ora non riusciva a riconoscerlo.
L’uomo andò incontro ai due ragazzi, quasi commosso << Carmine. Che bello vederti, finalmente! Sei diventato proprio un uomo adesso. L’ultima volta che ti ho visto non eri alto nemmeno un metro >>
Probabilmente aveva detto quella cosa solo per stemperare un po’ la temperatura e sciogliere la tensione. Ma a lui quelle parole avevano fatto aumentare il risentimento verso quell’uomo. “Che bello vederti, finalmente”? Come se l’avesse mai cercato in tutti quegli anni.
<< Certo che sono cresciuto! E se sono così non è certo grazie a te! >>
Seguì qualche secondo di silenzio, in cui l’uomo sembrava realmente dispiaciuto di come erano andate le cose in quegli anni, Carmine lo guardava con astio ed Elena guardava i due non sapendo cosa fare.
<< Hai ragione >> disse infine l’uomo << Ma spero mi darai modo di spiegarti tutto. Sedetevi nel frattempo >> Indicò loro le sedie libere e si sedette su quella che aveva già occupato precedentemente << Lei è la tua ragazza? >> chiese, poi, sorridendo in direzione di Elena.
Lei stava per rispondere imbarazzata che no, non era la ragazza di suo figlio, ma Carmine fu più veloce di lei << Non cambiare argomento. Voglio sapere perché sei andato via senza nemmeno salutarmi >>
L’uomo sospirò << E’ stata la cosa più difficile abbandonare te, Carmine. E non volevo farlo, davvero! Ma ho pensato che avere un padre che avresti visto solo una volta ogni 6 mesi o, peggio, 1 anno, visto che ero tornato a Napoli, sarebbe stato destabilizzante per un bambino di soli 5
anni >>
<< Certo, perché invece per un bambino vedere il giorno prima i suoi genitori sotto lo stesso tetto e il giorno dopo scoprire che dei suoi genitori era rimasta solo la madre è una passeggiata. Ma poi, come hai notato benissimo da solo, questo bambino è cresciuto. Perché non mi hai cercato quando avevo smesso di essere solo un bambino? >>
<< Perché mi mancava sempre il coraggio. Non so che idea avevi tu di me, Carmine, ma non sono perfetto. Ho avuto paura che mi odiassi, che mi respingessi. Come stai facendo ora >>
Seguì ancora qualche secondo di silenzio, in cui Carmine pensò a quelle parole. Prima che abbandonasse lui e sua madre, aveva sempre pensato che suo padre fosse un supereroe, e aveva sempre sperato di diventare come lui, da grande. E ora gli veniva a dire che aveva solo avuto paura di essere rifiutato. Abbasso lo sguardo e vide la sua mano ancora intrecciata con quella di Elena. Anche lui aveva paura di essere rifiutato, se le avesse confessato i suoi sentimenti. Ironia della sorte, era più simile a suo padre di quanto avesse mai immaginato.
Passarono quasi 1 ora in quel locale prima che Carmine gli chiedesse la prima cosa che avrebbe dovuto sapere prima di sedersi << Perché mi hai voluto incontrare? >>
<< Perché volevo sapere come stavi >>
<< Ma perché proprio ora? E non dirmi che è perché hai trovato il coraggio solo ora. Voglio la verità! >> Non riusciva proprio a nascondere il rancore che provava verso di lui.
L’uomo sospirò << Ho un problema >>
Il cuore iniziò a battere più veloce nel suo petto. Che avesse qualche malattia?
<< Di che genere? >> si intromise Elena, vedendo il ragazzo troppo sconvolto per parlare.
<< Devo dei soldi a una persona e... >>
Carmine lasciò immediatamente la mano di Elena e si alzò in piedi << Tu hai bisogno di soldi e hai pensato bene di rivolgerti a me, visto che sai che sono famoso, adesso, giusto? Ma ti rendi conto di che razza di persona schifosa sei? Mamma ha sempre avuto ragione su di te: sei un approfittatore! Elena, andiamo >>
Si avviò verso l’uscita, seguito dalla ragazza, fingendo di non sentire quel “Carmine aspetta!”. Non voleva saperne più niente di lui. Entrò in macchina e, quando anche Elena era dentro, partì.
Elena abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa per averlo spinto ad incontrare il padre << Mi dispiace >>
Carmine le sorrise, cercando di nascondere tutto il nervosismo << Ehy, non è colpa tua. Avevi ragione, è meglio un rimorso di un rimpianto. Almeno adesso so che persona è realmente >>
Sentì la mano di lei poggiarsi sulla sua, ferma sul cambio. Si girò un attimo e la vide sorridere. << Ti va di andare a bere qualcosa? Non ho voglia di tornare a casa, adesso >> le propose.
Due ore dopo, Elena stava guidando verso casa di Carmine, visto che lui aveva bevuto decisamente troppo quella sera. Parcheggiò la macchina e lo aiutò a scendere, per poi aprire la porta di casa e accompagnarlo in camera.
Non ci poteva credere. Sua madre gli aveva sempre detto che suo padre era un verme, ma mai avrebbe immaginato che lo fosse così tanto. Approfittarsi in quel modo di suo figlio. Ecco perché l’aveva riconosciuto subito: l’aveva sicuramente visto in qualche foto. Era solo un debole.
Elena lo fece stendere sul letto.
E lui? Che persona era lui? Non era riuscito a dire alla ragazza che amava quello che provava perché aveva paura di un suo rifiuto, di perderla per sempre. Era un vigliacco e un debole, proprio come suo padre.
Dopo avergli tolto le scarpe lo aiutò a togliere il giubbotto.
Non voleva essere un vigliacco. Non voleva essere come lui. Le avrebbe fatto capire che l’amava, che non desiderava altro che lei.
Le prese un polso, mentre era vicina a lui, e con l’altra mano dietro la sua nuca avvicinò il suo viso a lui. La baciò con prepotenza. Non voleva essere come suo padre. Non voleva essere un debole.
Elena provò più volte a staccarsi da lui, ma non glielo permetteva. Non era un debole!
Un dolore forte all’inguine, però, gli fece mollare subito la presa. La ragazza gli aveva tirato una ginocchiata per riuscire a liberarsi, e ora stava correndo via, lontano da lui. Che aveva fatto?
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4 giorni dopo, Carmine era seduto alla scrivania della sua camera. Di Elena non aveva avuto più notizie: al telefono non rispondeva, gli chiudeva le chiamate senza nemmeno rispondere, e Marco non gli permetteva di vederla. Dubitava che sapesse come fossero andate realmente le cose, altrimenti lo avrebbe già preso a pugni, molto probabilmente, ma lei doveva avergli accennato qualcosa per forza.
Sospirò, rileggendo le frasi davanti a lui.
Stringimi.
Sulla pelle ho ancora i brividi.
Guardami.
Non sono stato io ad abbattere le nostre fragili regole.
Un equilibrio da proteggere.
Colpevole.
Scusami.
Ti ho cercato fino agli inferi.
Fermati un attimo.
Un’ora.
Ho paura.
Se cado a terra afferrami e stringimi ancora.
Ho il terrore di perderti.
Ora chiudi gli occhi.
Di nascosto io sarò li.
Baciami.
Stava dando vita all’ennesima canzone scritta pensando a lei.
Presente
<< Non avevo detto niente a Marco di quello che era successo. Ho solo assecondato quello che aveva capito lui >> spiegò Elena.
Quando quella sera tornò a casa in lacrime, ebbe la sfortuna di trovare Marco ad aspettarla in cucina.
<< Ele, che è successo? >>
Che doveva dirgli? Non poteva raccontargli quello che era successo. << Niente, niente. Ascolta, per favore, se dovesse cercarmi Carmine, non passarmelo >>
<< Ti ha fatto qualcosa, Elena? >>
Il suo sguardo era duro, adesso << No, è una cosa stupida solo mia >> si inventò.
<< C’entra la cotta che avevi per lui da ragazzina? >>
Elena aveva ancora la testa bassa, in cerca di una scusa plausibile da raccontare al cugino, quando lui l’aveva spiazzata con quella domanda. Certo, lui sapeva della cotta gigantesca che aveva per il suo amico quando aveva solo 14 anni, ma si era davvero accorto che non le era mai passata? In fondo non ne avevano più parlato.
Notando la faccia colpevole della cugina, il ragazzo sorrise comprensivo << Guarda che me ne sono accorto che la ragazzina che seguiva sempre Carmine non se ne è ma andata. L’ho capito che sei innamorata di lui. È per questo che vuoi evitarlo? Perché ti fa soffrire vederlo con altre ragazze? >>
Decisamente non era quello il motivo. Figurarsi, ormai ci aveva fatto l’abitudine a vederlo con ragazze sempre diverse. Ma, involontariamente, Marco le aveva offerto la scusa perfetta, e lei aveva colto al volo quell’opportunità.
Nei giorni a seguire, infatti, a parte chiamate e messaggi sul cellulare, da Marco non aveva più sentito nominare Carmine.
<< Ecco perché non mi ha mai spaccato la faccia per quello che è successo >> sorrise imbarazzato << Ele, non hai idea di quanto mi dispiaccia per come mi sono comportato quella sera. Perdonami, non ero in me. So che non è una scusa valida, ma non so nemmeno io perché mi sono comportato così >>
<< Lo so. Ma mettiti anche nei miei panni, Ka. Ero spaventata dal fatto di non riuscire a non pensare a te da 10 anni ormai, al ragazzo che anche se mi prendeva sempre in giro si era mostrato sempre gentile con me. A quello che metteva tutto sé stesso nelle canzoni che scriveva. Ma il comportamento di quella sera mi aveva fatto davvero paura. Eri prepotente, non eri il Carmine di cui mi ero innamorata io, non eri quello che mi ha dato quel bacio fantastico 2 anni prima, quello gentile che metteva tutto il suo mondo nelle sue canzoni >>
<< Stavi diventando tu il mio mondo, Elena. Nel giro di un mese ho scritto due canzoni per te. Non mi era mai successo di scrivere così tanto in poco tempo. Non riuscivo a pensare ad altro se non a te e a quello che avevo fatto. A quanto ero stato cogli*ne. Per questo ti ho mandato quel messaggio. Per questo è nata Il tempo di un minuto >>
Quel ticchettio di un orologio stanco di scandire solo i giorni, le ore, gli attimi che ci dividono.
Carmine guardò ancora l’orologio, nervoso. Mancavano 5 minuti alle 19.00.
Prese il cellulare dalla tasca e rilesse il messaggio, per essere sicuro di aver scritto l’orario esatto.
“Ciao, come stai? È da un mese che non ci vediamo né sentiamo. Io mi sento una ****a per quello che è successo. Mi dispiace tantissimo. Vorrei farti le mie scuse parlandoti a quattr’occhi, però. Ti prego, vieni oggi alle 19.00 a casa mia. Marco non mi fa avvicinare a te e io sto impazzendo. Ti prego.”
Iniziò a tamburellare il piede a terra. Ti prego, vieni. Si passò le mani tra i capelli, stanco di quella situazione.
Nel silenzio tra un secondo e l’altro vivrò nell’ansia dell’attesa.
Doveva venire, doveva dargli modo di spiegare, o non ne sarebbe uscito vivo. Vieni, vieni, vieni, ti prego! Aveva bisogno di lei, del suo sorriso, dei suoi occhi, dei suoi abbracci. Aveva bisogno di dirle che non era realmente lui quella sera, che l’avrebbe amata dolcemente. Che quella prepotenza che aveva usato non era nel suo stile. Che non era lui. E che lei era tutto ciò che desiderava nella vita. Da solo si sentiva uno schifo. Gli sembrava di essere in un labirinto e che lei fosse l’unica persona in grado di aiutarlo ad uscirne.
Salvami da questa trappola.
Solo se si fosse presentata all’appuntamento, sarebbe riuscito ad uscirne. Salvami, ti prego.
Guardò ancora l’orologio. Le 18.59. Chissà se sarebbe andata da lui. Chissà se sarebbe stata la sua ancora, salvandolo da quell’oblio, o se l’avrebbe spinto ancora di più al centro del labirinto non presentandosi. Chi sei, la mia ancora o quella forza che mi porta sempre più giù?
Il tempo di un minuto per sapere chi sei.
Vieni, vieni, vieni. Il piede martellava sempre più frenetico sul pavimento. Sii la mia ancora, ti prego.
Sapeva che Elena era una persona molto puntuale, persino più di lui, non si sarebbe presentata in ritardo. Sperava solo che stesse per arrivare. Non ce l’avrebbe fatta, se non si fosse presentata.
Le 19.01.
Il tempo di un minuto per dimenticare.
Il piede era fermo, ormai. Era finita. Elena non si sarebbe più presentata, e lui sarebbe morto dentro senza di lei.
Tanti, troppi anni aveva vissuto in funzione di lei, e ora non sapeva più starne senza, non sapeva più come si viveva senza di lei. Gli sembrava che avrebbe iniziato un’altra vita da allora, una vita senza lei costantemente nelle sue giornate. Ma chi gli avrebbe insegnato a vivere senza i suoi sorrisi? E chi gli avrebbe ridato tutti quegli anni in cui il suo Sole era solo e unicamente Elena?
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