29.
E lascio che tutto accada senza fare una mossa.
Sto esitando troppo e ogni giorno siamo più vicini, ma anche più vecchi. C’è il rischio che quando troverò il coraggio, ti dirò di darmi un bacio e tu mi chiederai: “Cos’è un bacio?”
Il tempo si è messo a correre, ha premuto sull’acceleratore. Ho salutato il mare una settimana fa. Sette lunghissimi giorni in cui non ho fatto altro che ascoltare, ripetere, ascoltare nuovamente.
Musica, cuore, testa, le mie amiche.
Ho persino rifiutato un’uscita per evitare di non tollerare l’atmosfera da “vogliamoci bene e fingiamo che non sia successo nulla”. È inutile, mi si è spezzato il cuore ancora prima di donarlo. O meglio, probabilmente si è gettato da solo in pasto alle parole di Pedro. L’unica cosa che mi consola è che agli occhi dei ragazzi non è successo nulla, solo Ale e Gaia sanno. Loro sono il mio tutto adesso.
Devo anche ringraziare l’artefice del mio stato depressivo per aver mantenuto le distanze, l’ho chiesto ma non pensavo lo facesse veramente. A dirla tutta un po’ speravo in un suo “Ci vediamo?”, ma è stato solo un attimo poi son tornata in me.
Non ho voglia di fare niente anche se Francesco mi ha chiesto di uscire insieme. So benissimo di dovergli parlare, ma quel discorso può restare in sospeso ancora un po’.
Mi siedo sul divano e sfido Gaia alla play. Dal suo sguardo deduco non abbia granchè voglia, ma afferra lo stesso il joystick tra le mani per premere quei pulsanti. Questa è amicizia, fare le cose per il bene dell’altro anche quando non se ne ha voglia, solo per il gusto di strappargli un sorriso.
G: “Ieri sera, mi ha chiesto di te.” Parole che si incastrano nelle crepe del cuore. Fingo una naturalezza che non mi appartiene.
I: “Ah, si? Che voleva?”
G: “Era preoccupato, o almeno mi è sembrato così. Voleva sapere come stavi, tutto qui. Ovviamente, senza che gli altri sentissero.” Le sorrido “Se ami, devi amare forte. Ricordi?”
I: “Ricordo eccome. Quante volte ce lo siamo ripetute?! Tante, troppe.”
G: “Non glielo dirai mai.”
I: “Lo metterei in una brutta situazione e non sarebbe il solo. È meglio così, Gaia. Non ci sarebbe più armonia nel gruppo, Ka lo accuserebbe di avermi ferita, lui si sentirebbe in colpa. No, non posso tollerarlo. Me la faccio passare.”
G: “Sei troppo buona con gli altri e troppo cattiva con te stessa.” Sentenzia per poi guardare lo schermo “Ah, pure perdente, dicono!” facendomi ridere. Gaia tiene sempre un sorriso di scorta per me, in tasca o nella manica. Unica.
Suonano alla porta. Ci guardiamo, non aspettiamo nessuno. Vado ad aprire e mi trovo faccia a faccia con il mio pensiero fisso.
P: “Vieni con me.” ha un tono che non ammette repliche. Deve averlo appreso negli anni da Carmine.
I: “Gaia, esco.” Riesco soltanto a dire. Non penso nemmeno a cambiarmi, esco in tuta. Seguo passo passo il mio compagno senza capire dove stiamo andando. Ho paura a chiedere quale sia la meta della nostra passeggiata. Ho paura persino di stargli accanto, paura che capisca, scopra quanto sono brava a raccontarmi bugie. Sento che ogni tanto mi guarda, lo percepisco dallo scioglimento dei ghiacciai che avviene solamente con i suoi occhi. I capelli al vento, le mani nelle tasche dei jeans, andamento sicuro.
Sono l’unica ad avere freddo, ora?
Attraversiamo la strada, poi un incrocio ed infine ci ritroviamo nei pressi dei giardinetti.
P: “Non ne posso più di questo silenzio.” Afferma tutto d’un colpo facendomi sobbalzare. Non so cosa rispondere. Lo guardo continuando a camminare.
I: “Dove stiamo andando?” ecco, questa è la domanda che volevo fare un’ora fa
P: “Veramente sono in missione. Dani voleva casa libera per fare una sorpresa a Gaia. Serviva qualcuno che ti portasse fuori, e siccome Ka non c’era, mi son proposto io.” mi rivela candidamente, tralascio il dettaglio sul compito gravoso del portarmi via per la mia salute mentale
I: “Che sorpresa?”
P: “A dir la verità, non so.” Cala nuovamente il silenzio. Passano alcuni minuti e ricevo un sms. Incrocio le dita sperando sia qualcuno o qualcosa in grado di salvarmi da questa tortura inesorabile.
“A casa mia, tra mezzora. Cena con noi dato che i Calvio son occupati.”
Inizio a ridere per il tono usato. Anche lei, ha imparato in fretta. Mi volto verso Pedro che a quanto pare ha ricevuto lo stesso messaggio.
I: “Bene, siamo salvi.” Faccio spallucce andandomi a sedere su un muretto seguita a ruota da lui. Ho come l’impressione sarà la mezzora più lunga della mia vita, di questo passo. Cavolo, inizio a sentire freddo. Ho lasciato la felpa a casa presa dallo shock di vedermi Pedro sulla porta. Mannaggia a me. Ringraziando, non tremo. Faccio dondolare le gambe su e giù, sperando di ingannare il tempo e riuscire a restare in silenzio ancora un po’. Nonostante tutto, non sono in imbarazzo. È la semplice presenza di Pedro accanto a me a renderlo possibile, se mi alzassi adesso saprei di aver avuto una lunghissima chiacchierata con i suoi occhi. Le parole a volte non servono a nulla. Il sole inizia a giocare con una nuvola bianchissima facendo strani giochi di luce prima di nascondersi del tutto. Guardo l’orologio e impallidisco, saranno passati si e no quattro minuti.
P: “Sei troppo pensierosa ultimamente. Mi preoccupi.”
I: “Solo perché non ti mando a quel paese a voce, non significa che non lo stia pensando.” Ribatto commettendo l’errore di voltarmi a guardarlo. I suoi occhi sono così luminosi, così maledettamente ingannevoli con la loro timidezza. Mi hanno fregata troppe volte. Non reggo lo sguardo un secondo di più, inizio a fissarmi le converse.
P: “Hai parlato con Ka?” chiede quasi in un sussurro
I: “No, mi è bastato una volta. Su certi argomenti meglio non tornare.” Sorrido in modo tirato sentendo l’amaro raggiungere la bocca.
P: “Va bene, non parliamo più. È questo che vuoi, no? Però, devi dirmelo chiaramente, almeno so quali atteggiamenti ti possono mettere in difficoltà. Se il problema sono io, dimmelo. Sarei felice di aiutarti, se tu me lo permettessi.”
Dopo queste parole, come posso cavarmela senza fare del male. Vorrei parlarti di me, non sai quanto. Vorrei che sapessi ogni dettaglio dei pensieri idioti che riesco a formulare, così come vorrei fossi sempre tu a sorreggermi e salvarmi dalla forza di gravità quando inciampo. Io, voglio te, ma non in amicizia. Riesci a capirlo? No. La tua sola presenza mi mette in difficoltà. Il sapere che in ogni caso dovrò convivere con questo male al petto per del tempo che non posso e non voglio quantificare, fingere che vada tutto bene, fingere di non provare nulla per te. Sto diventando quasi brava. Il gelo comincia a farsi sentire ancora, più forte di prima, punge e fa male. Mi alzo in piedi. Sto per avvalermi della facoltà di non rispondere, quando Pedro si mette di fronte a me. Mi guarda stranito, per poi togliersi la giacca di pelle che adoro, restando con una maglietta addosso. Si avvicina e mi lascia la giacca sulle spalle, concludendo il tutto in un abbraccio.
P: “Stai tremando! Andiamo, su.” Afferma mentre sfrega le sue mani sulla mia schiena e sulle braccia per scaldarmi. Non mi lascia nemmeno un secondo. Non aspetta neppure un grazie o una mia risposta. Mi tiene semplicemente stretta a se, in silenzio.
I: “Pedro” biascico ottenendo la sua attenzione
P: “Dimmi..” risponde posizionando il suo viso esattamente di fronte al mio. Non è divertente. Con un movimento leggero, mi avvicino facendo aderire la mia fronte alla sua. Occhi negli occhi.
P: “Riguardo a quello che hai detto prima, tu sei il problema.” Prendo un attimo di respiro mentre i suoi occhi hanno un lieve calo di luce “Quello che non sai è di essere anche la soluzione. Insomma, è un bel guaio.” Continuo facendo spallucce e cercando di allontanarmi da lui senza riuscirci. Si avvicina ancora, troppo per il mio cuore. Sorride mentre afferra con una mano il mio viso, lasciando il segno marcato a fuoco del suo bacio nel punto più vicino possibile alle mie labbra.
P: “Ammettere di avere un problema, è già una mezza cura. Adesso, però ci conviene andare prima di correre il rischio di ricevere l’accoglienza di Ka.”
Mi passa un braccio attorno alla spalla, continuando a scaldarmi. Come se avendo il sole accanto, potessi avere freddo. Non ho mai conosciuto braccia come le sue: potrebbero rompermi le ossa, invece si limitano a sorreggermi.
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Ehm, mi son dimenticata di dare il benvenuto a Debbuz!
Grazie di cuore per le parole che avete speso per i miei capitoli, siete dolciose, tutte.
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